TORINO - La Juventus ritrova se stessa nel primo dei tanti giorni delle verità, che punteggeranno il suo calendario da qui alla fine della stagione. È prematuro definirla una resurrezione, solo fra qualche partita si saprà se è anche solo una svolta, ma siccome i gol e le vittorie hanno il potere di cancellare dubbi e perplessità, quello di ieri sera è comunque un colpo di reni per uscire dall’incubo delle ultime nove partite. E vale tanto, perché il 2-0 significa un pezzo di finale di Coppa Italia, cioè la possibilità di vincere almeno un trofeo e l’incasso dei 13 milioni di accesso alla Supercoppa.
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La Juve vuole la Coppa Italia
La Juventus di ieri sera, soprattutto quella del secondo tempo, è la Juventus più simile a quella del girone di andata. Questione di testa, perché molti dei difetti che ne hanno condizionato il recente cammino non sono spariti e nel primo tempo si possono rintracciare la paura, la disorganizzazione, la fragilità tattica. Ma lo spirito, questa volta, era diverso: la voglia di vincere, di mettere le mani sulla finale, ha fatto la differenza in modo netto. Il gol di Chiesa, che chiosa in modo perfetto il magnifico assist in verticale di Cambiaso, così come la rete di potenza di Vlahovic, incarnano la rabbia di una squadra che ha trovato la forza di scrollarsi di dosso le ansie e forse anche la sfiga. Viene da chiedersi perché non ci sono riusciti prima, visto che la diagnosi era chiara da due mesi, ma Allegri non ha trovato una cura. Così è servito il ritorno di una partita che valeva un trofeo per risvegliare l’anima agonistica, andata in letargo dopo la sconfitta con l’Inter che aveva spento il sogno di lottare per lo scudetto. Un po’ come se il largo margine sul quinto posto e la distanza siderale dall’Inter avesse svuotato di senso il campionato. Una spiegazione, non una giustificazione, intanto perché a furia di non vincere quel margine si è assottigliato e perché non è da giocatori da grande squadra perdere così facilmente le motivazioni.
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