Che cosa non bisogna dire ad Allegri

A Madrid errori di Max e giocatori, ma non è il tempo delle prefiche
Che cosa non bisogna dire ad Allegri© www.imagephotoagency.it

Premessa fondamentale e doverosa: Allegri e la Juve a Madrid hanno commesso molti errori, sia tattici sia di approccio psicologico alla partita, abbondantemente sottolineati dalla critica e dai tifosi nel diluvio acido del giorno dopo. Il 12 marzo, a Torino, ci vorrà tutta un’altra squadra per tentare la rimonta. Impresa non impossibile da inseguire, ma durissima da realizzare. Questo, però, non è il tempo delle prefiche né tantomeno di buttare a mare tutto il lavoro e tutti i risultati di un allenatore che nei suoi quattro anni e mezzo bianconeri ha vinto 4 scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Supercoppe italiane, guadagnando per due volte la finale di Champions League nelle quattro edizioni precedenti l’attuale. E perdendole entrambe, come del resto Diego Pablo Simeone. Il quale, è vero, nella bacheca internazionale dei Colchoneros allinea 2 Europa League e 2 Supercoppe Europee, ma non il trofeo continentale più prestigioso. La sottolineatura s’impone perché, dopo la bruciante sconfitta al Wanda Metropolitano, ai detrattori di Allegri in servizio permanente effettivo non è parso vero di tornare alla carica, svilendo, avvilendo, mortificando la competenza e la bravura di chi, invece, dalla lezione madrilena trarrà paradossalmente giovamento. Nel senso che, conoscendolo, l’allenatore della Juve manderà a memoria il film del 20 febbraio, correggendo gli errori e le omissioni. Non è il momento delle prefiche, le signore che nel mondo antico erano pagate per piangere ai funerali, perché chi ha celebrato anzitempo la fine delle ambizioni europee della squadra di Ronaldo, dovrebbe almeno aspettare diciotto giorni.

Soprattutto, ciò che non si deve dire ad Allegri è che la sua corsa juventina si sia conclusa sotto i colpi di Gimenez e Godin e che, bartalianamente sia tutto sbagliato e tutto da rifare. Non è così. S’intende, l’allenatore è il primo a saperlo: improvvisamente, inopinatamente, il 12 marzo 2019 è diventato il giorno dei giorni, lo spartiacque di una stagione. E Allegri sa altrettanto bene che il 12 marzo 2019 lui si giocherà la Juve. Ma non sarà il solo. Nell’anno di Ronaldo, di un’operazione che fra annessi e connessi ha superato i 400 milioni di euro, il club di Agnelli ha fissato l’estate scorsa l’obiettivo ora a forte rischio: conquistare la Champions League e infrangere il tabù che resiste da ventitré anni.

Checché ne dica l’ineffabile presidente dell’Atletico che ha ancora sullo stomaco le due finali perse con il Real, Cristiano ne ha vinte cinque e non ha ancora perso la speranza di conquistare la sesta. In queste pagine vi raccontiamo quali potranno essere gli scenari, a seconda del risultato nella seconda gara con l’Atletico. Ma c’è tempo per istruire processi sommari, trinciare giudizi ultimativi, scaraventarsi in corsa giù dal carro del plurivincitore. In senso letterale: 254 partite alla guida della Juve, 183 vittorie, 39 pareggi, 32 sconfitte, percentuale di successi: 72,04. La più alta fra i grandi allenatori della storia societaria. I numeri schiacciano le parole.

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