L'allenatore non si fa alla playstation
Chi la vuol vedere contro Guardiola dice che Haaland non viene servito bene e farà la fine di Ibrahimovic. Che Grealish preferito a Doku davvero non si capisce. Che lasciare campo aperto agli sprinter madrileni è un suicidio. Che anche i quattro gol segnati non sono stati frutto di schemi, semmai di una gaffe del portiere, un tiro da lontano miracoloso (Foden) e uno fortunoso (Gvardiol), più infine un errore, peraltro l’unico, di super Rudiger. Chi la vuol vedere contro Ancelotti ribatte che è stato fortunato, come al solito. Che il possesso palla sotto il 35% non è calcio. Che così non va lontano. Che la sua “proposta di gioco” è antica. Chi sceglie invece gli elogi, ribalta le tesi. Ci vuole poco. In fondo, anche il calcio parlato è un gioco. Basta supportare il contrario con una buona dialettica, se possibile arricchita da qualche statistica affascinante, e si arriva al giudizio divisivo sugli allenatori. Ci sta. Niente di male. In disordine di moduli e filosofie, se ne parla dai tempi di Herrera e Rocco, Sacchi e Trapattoni, Lippi e Capello, Allegri e Sarri. Ora però si sta esagerando. E non per responsabilità dei protagonisti della panchina. La colpa, semmai, è di chi guida i commenti.
Fino a un decennio fa, gli opinionisti erano la generazione del Subbuteo. Oggi comandano i figli di Playstation e Football Manager, che fanno la voce grossa grazie al microfono sempre acceso dei social. L’allenatore non si fa con i pollici come alla Play e il mercato non si realizza con le carriere virtuali. Solo che tanti non lo sanno. E quelli più evoluti fanno finta di non saperlo. Chi scrive, per intendersi, non si è mai sognato di fare il medico perché aveva l’Allegro Chirurgo o lo scienziato grazie al Piccolo Chimico. (nota per i non boomer: si tratta di vecchi giochi in scatola). Sia consentito un sorriso aggiuntivo: non tutti i piccoli telespettatori di Art Attack sono poi diventati artisti o semplicemente dipendenti dell’Ikea. D’accordo che, come diceva Sacchi per giustificare il suo scarso pregresso in campo, “non occorre esser stato cavallo per fare il fantino”. Va bene. Ma non esageriamo.