Rovella, in tal senso, è un po’ il vostro Sinner.
«È l’ultimo gioiello uscito dal nostro settore giovanile ed è rimasto legatissimo a noi tanto che, quando può, viene a Milano a vedere le nostre partite. Sicuramente lui rappresenta un modello di ispirazione: un ragazzo giovane, pulito, che ha caratteristiche importanti anche a livello di qualità personale che rappresentano il modello di crescita dei nostri “alcioniani”. Noi abbiamo anche creato un brand che si chiama “Orange Generation” che tutti i ragazzi portano sulle divise proprio per esprimere un modo di essere, ovvero la volontà di diventare grandi giocatori ma pure uomini con valori che hanno determinate caratteristiche».
Perché avete utilizzato come motto “Brotherhood”, fratellanza?
«Un ragazzo che gioca in Alcione trascorre tanto tempo con i compagni di squadra e nasce quindi un modo diverso di stare insieme basato sull’aiutarsi a vicenda, consigliarsi, sostenersi. Noi diciamo ai nostri ragazzi che deve renderci orgogliosi la stima degli avversari. Altro motto che usiamo è “commitment to excellence” legato alla voglia di volerci sempre migliorare e all’intenzione di vincere sempre pulito, senza scorciatoie. Noi abbiamo un altro motivo di orgoglio: siamo tra i pochi a fare un’attività di tutoraggio anche nello studio dei nostri ragazzi, il concetto che vogliamo far passare è quello che si può diventare buoni giocatori diventado nel frattempo persone istruite, quindi capaci di avere un’alternativa nella vita, questo perché noi per primi sappiamo che su sessantamila ragazzi che partono, solo uno arriva in Serie A. Noi investiamo tanto sul fatto di creare ragazzi competitivi non soltanto nel calcio ma pure nella vita».
Tra la sede dell’Alcione in via Olivieri e San Siro ci sono due chilometri: nel caso in cui Milan e Inter o una delle due squadre dovesse lasciarlo, potrebbe diventare la vostra nuova casa?
«Beh, sicuramente. Ovvio che non dipenda solo da noi, ma una città come Milano non può non avere sedi adeguate per le eccellenze del proprio sport. Noi abbiamo messo mano a un progetto per rendere agibile l’Arena ma è chiaro che se San Siro dovesse rimanere lì, una riflessione si imporrebbe sul come sfruttare quello stadio leggendario».
I vostri progetti si fermano alla Serie C?
«No: la Lega Pro è solo il primo passo. Lo sport professionistico si fa per vincere e una volta arrivati in C verrà abbastanza naturale parlare di Serie B. Dovremo quindi fare un passo ulteriore per strutturarci, ma quello diventerà il nuovo obiettivo».
Intanto c’è un campionato da vincere: riuscirci sarebbe un po’ come la seconda stella per Milan e Inter?
«Per noi sarebbe la prima grande stella, quella dell’ingresso tra i professionisti. Ma questo, come detto, dovrà essere solo un punto di partenza».
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