Mamma Tonina Pantani: «Marco è sempre qui»

«Per lui un amore immenso. Temevo l’oblio, invece è nel cuore di tutti. L’affetto dei tifosi rende il dolore quotidiano un po’ più tollerabile»
Mamma Tonina Pantani: «Marco è sempre qui»

La paura più grande di mamma Tonina, per anni, è stata che Marco venisse dimenticato o, peggio, ricordato «come un drogato e dopato». Trascorsi 15 anni da quel 14 febbraio 2004 in cui Marco Pantani venne trovato morto nel residence Le Rose di Rimini, anche se la verità giudiziaria è lontana dalla verità ripetuta sino allo sfinimento da mamma Tonina, una certezza c’è: nessuno ha dimenticato Marco. Anzi, la memoria si rafforza e consolida con il passare del tempo, alimentata da una bibliografia sterminata e da un ricordo che si è fatto arte: dal teatro al cinema, dalla fotografia alla pittura, Marco è diventato un’icona in cui le debolezze umane sono passate in secondo piano, sovrastate da ondate di affetto popolare che non accennano a diminuire. «È proprio questo a rendere il dolore quotidiano più tollerabile - spiega Tonina Pantani - Incontrare e dialogare ogni giorno con persone che arrivano da tutta Italia e dall’estero mi fa bene».

Il giorno dell’anniversario come lo trascorrerà?
«Ci ritroveremo alla chiesa di san Giacomo, a Cesenatico, per la Messa. E poi staremo insieme per ricordarlo tra amici, trascorrendo la serata in maniera semplice, in pizzeria. E’ bello stare tra le persone che vogliono bene a Marco».

Tra i tifosi, con il passare del tempo, sono sempre di più quelli che non hanno mai incontrato Pantani. Come si avvicinano alla figura di Marco?
«Attraverso i filmati d’epoca, le fotografie, i libri, gli spettacoli teatrali. E molti mi dicono che per loro è un’ispirazione. Non solo dal punto di vista ciclistico, Marco è una sorta di riferimento nella loro vita».

Una gran fondo, un museo e tante iniziative diverse: come alimenta la memoria di Marco?
«Quest’anno ci sarà un intero week-end dedicato a Marco, perché il 21 settembre i professionisti gareggeranno al Memorial Pantani, mentre il giorno dopo in strada ci saranno gli amatori per la Gran Fondo, per la quale mi aiuta Alessandro Vanotti (ex gregario di Nibali all’Astana ndr). Sono tanti impegni, ma io non mi tiro mai indietro: questo week-end, ad esempio, sarò a Casalgrande, in provincia di Reggio Emilia, dove dedicheranno una strada a Marco. E il giorno dopo sarò allo stadio del Cesena».

Dalla memoria collettiva a quella nelle aule del tribunale. Inizia una nuova battaglia legale?
«Seguo con interesse tutte le inchieste, compresa l’ultima portata avanti dalle “Iene” anche se spero poco in eventuali sviluppi giudiziari a Rimini. Io continuo per la mia strada, sostenendo quello che ho sempre detto, sin dall’inizio: Marco è stato ammazzato».

Avviare indagini che poi vengono archiviate non è un doloroso modo di riaprire vecchie ferite?
«Ogni volta fa male, ma come faccio a lasciar perdere? Fino al mio ultimo giorno di vita, io andrò avanti. È una scelta difficile che ho pagato personalmente anche a livello familiare».

In che modo?
«Ho perso due figli, non uno, perché la mia determinazione, la mia decisione di continuare a cercare chi davvero ha ucciso Marco, mi ha allontanato da mia figlia Manola».

E neppure questo la spinge a fermarsi, a dire “basta”?
«No, io non mollo. Lo devo a Marco. Come pure merita che venga fatta luce su quello che accadde a Madonna di Campiglio».

Il Giro d’Italia del 1999, da cui venne cacciato quando indossava la maglia rosa.
«Lo trattarono come il peggiore dei dopati. Fortunatamente non Tuttosport. Ricordo ancora quella prima pagina, con il titolo «È innocente». In pochi lo dicevano allora, in tanti - quasi tutti - ne sono convinti adesso».

Il passare degli anni è servito a questo?
«Molti hanno approfondito la storia di Marco e questo è servito a ripulire dal fango la memoria».

Cosa si aspetta dai prossimi anniversari?
«Desidero una sola cosa: vorrei che Marco non venisse mai dimenticato».

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